La missione del jazz
I Ghetto Swingers e la musica degenerata
“I Ghetto Swingers erano proprio una buona orchestra. Suonavamo con swing e feeling, principalmente nello stile di Benny Goodman.
Se adesso chiudo gli occhi posso quasi sentire Goodman venir fuori dal clarinetto di Weiss. C’erano Nettl al piano, Schumann alla batteria, Goldschmidt alla chitarra, Libensky al basso, Vodnansky al sassofono contralto, Donde al sassofono tenore, Kohn, Chokkes e Vogel alle trombe, Taussig al trombone e Weiss al clarinetto.”
Queste sono le parole di Erich Vogel, anni dopo la sua permanenza nel campo di Terezín, alle porte di Praga. Vogel suonava la tromba, durante gli anni delle deportazioni, della “musica degenerata”, del Nazismo, gli anni in cui i Ghetto Swingers vedevano i propri musicisti andarsene su un treno per il bestiame, per non tornare mai più. Una jazz band che suonava in un lager, lo spettacolo che il Reich e il Führer gentilmente offrivano come un teatrino per l’Europa e la Croce Rossa: la musica come arma, come propaganda, uno strumento che non suona, ma che mente.
MUSICA DEGENERATA. Il 31 maggio 1938 fu l’anno in cui la legge del Reich ordinò la confisca di opere d’arte e la loro eliminazione, perché reputate Entartete Kunst (“arte degenerata”); così, anche la Entartete Musik aveva i suoi canoni di ripudio e censura, perché era malsana, lontano dalle preferenze ariane che ammettevano solo i classici tedeschi. Il jazz, in assoluto, simboleggiava il crollo della musica stessa, perché suonato dai neri e dagli ebrei: da sterminare. Per ordine esecutivo, i jazzisti non potevano gridare durante un’esibizione, né essere applauditi da una platea in piedi; divenne obbligatorio rasentare il venti per centro al massimo di musica swing in un repertorio orchestrale, evitare le tonalità minori, il blues, preferire i ritmi più sostenuti, ma non troppo, perché da lì alla mancanza di rigore il passo era breve.
I GHETTO SWINGERS E TEREZlN. Nei campi di concentramento la musica esisteva eccome, accoglieva i deportati per ingannare, si prendeva le frustate e le torture, scandiva il ritmo del lavoro, e veniva sussurrata a filastrocche per insegnare ai bambini, giacché l’educazione era proibita. Donava speranza per il futuro, che però era quello delle camere a gas.
Il campo di Terezín, luogo di transito per sofferenze da smistare, nasceva come una menzogna, popolato esclusivamente da prigionieri creativi, artisti e intellettuali, gli attori e le vittime di un teatro che celava la più cruda verità. I Ghetto Swingers, jazz band ceca nata nel 1943 tramite richiesta scritta da Vogel al Comitato Per Il Tempo Libero, si esibivano al Kaffehaus del campo, dove il caffè realmente non esisteva ed era proibito restare per più di due ore. Poi c’era il patio centrale, perfetto per suonare in pubblico, quel pubblico che in tal modo non poteva giudicare così male un lager con tanta libertà, tanta cura nelle sue strutture.
La jazz band era l’emblema della musica degenerata permessa, per gentile -e fasulla- concessione, che raggiunse l’apice con la visita della Croce Rossa Internazionale nel “soddisfacente” campo di Terezín, il 23 giugno del 1944. I Ghetto arrangiavano pezzi, suonavano inediti, diventavano testimoni del finto benessere nel documentario girato per quell’occasione, in cui Hitler e le SS pareva donassero una città agli internati. Purtroppo, come ha voluto la storia, dietro la maschera della propaganda, erano in attesa di un terribile destino comune.
LA MISSIONE DEL JAZZ. I musicisti furono quasi tutti uccisi ad Auschwitz poco dopo la farsa, ad eccezione di Vogel e Schumann, liberati dai sovietici il 27 gennaio del 1945.
I Ghetto Swingers erano stati deportati torturati e uccisi dal gas, ma non la loro musica. Così Vogel scrive nelle sue memorie:
“(…) credo nella forte missione del jazz, una missione di fratellanza e di comprensione fra i popoli. (…) è il simbolo della libertà di espressione e di democrazia, una potente arma nella battaglia per questi ideali”.
Samanta (Fosca)
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